Odiare il diverso
Odiare ciò che è diverso rappresenta, purtroppo, un sentimento abbastanza comune che ha alla sua base fattori diversi.
Perché è importante conoscere questi fattori? Perché il conoscerli, portando alla comprensione del fenomeno, fornisce utili strumenti per porre rimedio.
Il primo fattore di cui tenere conto è la paura.
Il diverso ci fa paura.
Ognuno di noi si identifica in un gruppo sociale di appartenenza: quando ci ritroviamo con persone che fanno parte del nostro stesso gruppo tendiamo a minimizzare la differenze, che pure esistono, ed a porre l’accento su ciò che ci rende simili. Per lo stesso meccanismo, quando ci troviamo con soggetti che non appartengono al nostro gruppo tendiamo invece a porre l’accento sulle differenze e a non vedere, o minimizzare, ciò che ci rende simili. Entra qui in campo anche il concetto di identità etnica, concetto questo caldeggiato da alcuni antropologi, che vede i gruppi etnici come un qualcosa di fisso e permeato da una identità culturale, ma in genere l’identità etnica si costruisce sulla base di un gruppo sociale che si differenzia da un altro gruppo sociale. Come abbiamo visto prima per il “gruppo” in generale anche il sentirsi parte di un certo gruppo etnico porta come conseguenza il massimizzare le similitudini con gli appartenenti al proprio gruppo (etnico in questo caso) e minimizzare al contempo le differenze. In altre parole quando si odia un gruppo sociale, od una etnia, il gruppo di cui non facciamo parte viene visto come un tutto omogeneo in modo da poter effettuare una generalizzazione partendo dal comportamento negativo di un singolo membro del gruppo, comportamento che viene poi generalizzato a tutto il gruppo (Fischer e al. ,2018).
Il sentirsi parte di un gruppo, sociale od etnico che sia, porta, come sua diretta conseguenza, la necessità di difendere il gruppo stesso e si porta dietro delle emozioni fondamentali cioè la paura, l’ostilità ma anche la gioia, il tutto difeso dai pregiudizi verso coloro che non fanno parte del nostro gruppo, pregiudizi che sono atti a giustificare, oltre che a mantenere, la struttura all’interno del nostro gruppo di appartenenza (Brewer,2007).
Come afferma Freud “È sempre possibile riunire un numero anche rilevante di uomini che si amino l’un l’altro fin tanto che ne restino altri per le manifestazioni di aggressività” (Freud, Il disagio della civiltà, 1929)
Ricordiamo infatti che risulta molto più facile provare odio verso un intero gruppo che verso una singola persona anche perché se si odia un gruppo si può dare sfogo a pregiudizi e generalizzazioni e non si è bloccati dall’empatia che in genere si tende a provare verso una persona singola.
Inoltre odiare l’altro, il diverso, colui che non fa parte del nostro gruppo appare essere anche un’adattamento evolutivo che ha permesso ai nostri lontani antenati di competere con altri gruppi per le risorse in generale e per il cibo in particolare
Ma non finisce qui.
Nell’altro, spesso odiamo quelle caratteristiche che sono presenti in noi stessi ma che temiamo e soffochiamo. Per essere accettati nel nostro gruppo di appartenenza siamo costretti a a rigettare ciò che di negativo o semplicemente moralmente biasimevole abbiamo in noi. Non solo, odiare una certa categoria, provare disprezzo per chi non appartiene al nostro gruppo, ci permette di trovare una facile capro espiatorio e di non focalizzarci sulla nostra propria inadeguatezza.
Bisogna poi ricordare che anche certe caratteristiche della società in cui viviamo, fondata sulla competizione e non dotata della flessibilità necessaria per accogliere l’altro, il diverso, rendono più facile lo svilupparsi di un odio per ciò che viviamo come diverso, come appartenente ad un altro gruppo.
Odiare il diverso, in senso generale cioè inteso come non appartenente al nostro gruppo, è diverso dall’odio che proviamo verso una singola persona che magari ci ha fatto un torto, vero o presunto, e molto più difficile da eradicare.
Quando, per un qualsiasi motivo, abbiamo delle difficoltà con un singolo individuo, possiamo adottare strategie di risoluzione del conflitto come parlare con la persona oggetto del nostro odio, cercare di essere empatici ponendoci nei panni di quella persona o semplicemente mantenere le distanze, non solo fisiche, ma anche psicologiche dall’oggetto de nostro odio.
Superare la paura e l’odio verso chi non appartiene al nostro gruppo appare per certi versi più difficile in quanto ha risvolti sociologici, antropologici e culturali a volte profondamente radicati. Importante appare essere la valorizzazione di ciò che ci rende simili all’altro e la non focalizzazione su ciò che ci rende diversi. È poi importante rendersi conto del fatto che spesso il non riuscire a convivere con l’altro ha alla base la difficoltà che abbiamo a convivere con noi stessi: non accettiamo l’altro perché in fondo non riusciamo completamente ad accettarci, non ultimo poi è il rifiutare una retorica basata sulla sopraffazione per arrivare ad una dialettica consapevole e rispettosa dei propri diritti e di quegli degli altri e che abbia alla base l’amore per se stessi e per il prossimo, poiché come afferma Gandhi: “L’odio può essere sconfitto soltanto con l’amore. Rispondendo all’odio con l’odio non si fa altro che accrescere la grandezza e la profondità dell’odio stesso.”